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Prendete il Leicester di Ranieri, trasformatelo in una Nazionale ed otterrete la Grecia di Otto Rehhagel che nel 2004 portò quella che veniva considerata una ‘squadra di falegnami’ sul tetto d’Europa.
Di solito i miracoli accadono una volta sola nella vita ed ‘Her Otto’ aveva esaurito il suo bonus vincendo il campionato tedesco con il neopromosso Kaiserslautern nel 1998.
Ti puoi accontentare” , avranno pensato gli dei, ma non quelli greci.
Nel 2001 Rehhagel si avvia verso la pensione dopo aver vinto tutto ciò che c’era da vincere in Germania e la compianta Coppa delle Coppe con il Werder. Nella sua carriera ne ha viste di cotte e di crude, ma non ha mai allenato una nazionale.
Il giorno del suo 63° compleanno diventa il nuovo ct della Grecia, alla stessa età in cui Ranieri ha firmato per il Leicester.

La Federazione gli chiede come obiettivo massimo di qualificarsi per l’Europeo, traguardo raggiunto soltanto una volta nella storia della nazionale ellenica.
Già durante le qualificazioni la Grecia comincia a fare rumore, vincendo il girone e costringendo la Spagna agli spareggi.

Un rumore che diventa botto quando i ragazzi di Rehhagel battono i padroni di casa del Portogallo nella gara inaugurale dell’Europeo. Comincia tutto da questa partita, finirà tutto con questa partita.

 

Otto Rehhagel
Foto dal web

 

Che a spingere la Grecia ci sia qualcosa di magico e sovrannaturale lo si capisce all’ultima giornata della fase a gironi.

La squadra di Rehhagel subisce due goal in poco più di un quarto d’ora dalla Russia, ma prima dell’intervallo Zizis Vryzas segna un goal che cambierà la storia.

Grazie a quel goal la Grecia si qualifica ai quarti di finale perché ha gli stessi punti della Spagna (4), la stessa differenza reti (0) ma passa per goal fatti. E’ incredibile vero?

La nazionale più difensivista e catenacciara di tutto l’Europeo elimina la Spagna agli albori del ‘tiki taka’ grazie al maggior numero di reti segnate. E’ l’essenza paradossale del calcio.

Su quella squadra che gioca ancora con il libero, l’allora romanista Traianos Dellas, cominciano a piovere le prime critiche. Ma sono critiche di paura.

È vero – ammette candidamente Rehhagel – non posso dire che giochiamo un bel calcio, però è un calcio onesto. Ed è questo ciò che realmente conta“.
L’avversario dei quarti di finale è la Francia campione in carica. Un’altra montagna da scalare, un altro gigante da far cadere nella trappola di Rehhagel.

I Bleus attaccano, la Grecia difende e a 25 minuti dal termine capitan Zagorakis pennella sulla testa di Charisteas il pallone che vale l’accesso alle semifinali.

Dopo quell’impresa tutti parlano della Grecia e di un qualcosa che oggi definiremo ‘Cholismo’. Uno stile di gioco che può piacere solo a chi non si trova ad affrontarlo, ma che è quasi un’offesa ridurlo alla parola ‘catenaccio’ o al concetto di difesa e contropiede.

E’ fare di necessità virtù, è la consapevolezza che l’unica stella della squadra è la squadra stessa.

Qui gioca chi se lo merita, non è un partito politico con le sue correnti. Il calcio è affare serio“, spiega Rehhagel.

Nella sua Grecia tutti recitano uno spartito ben preciso, non ci sono prime donne: dai guantoni di Nikopolidis alle zuccatte di Charisteas, dagli interventi palla o piede di Dellas alle pennellate di Zagorakis, Basinas e Karagounis, gli unici con licenza di inventare.
Il calcio è affare serio e anche la Grecia fa sul serio.

La semifinale contro la Repubblica Ceca è la partita più tirata e combattuta dell’intera competizione: Dellas raggiunge vette che voi umani non potete immaginare nei duelli aerei col titano ceco Jan Koller e al minuto 105 è sempre lui a svettare su tutti per segnare il silver goal, una regola messa lì dalla UEFA quasi per caso. O forse no.

 

Forse, anzi sicuramente, doveva andare proprio così. Forse nel secondo tempo supplementare la Repubblica Ceca avrebbe pareggiato e poi vinto ai rigori, ma col silver goal bastava chiudere i primi 15 minuti in vantaggio per sfangarla. E la Grecia è la regina delle sfangate.

 

La Finale

Si arriva così alla finale, tutto finisce da dove era cominciato, da Grecia-Portogallo, i poli opposti del calcio. Non è un dualismo, è la filosofia della polarità che implica una condizione di complementarità tra gli opposti. Dove l’uno non potrebbe esistere senza l’altro e viceversa.
Da un lato c’è il pragmatismo quasi fastidioso ma efficace di Rehhagel, dall’altro il ‘futebol bailado’ del giovane Cristiano Ronaldo, di Figo e di Deco.

Una sola cosa accomuna queste due nazionali: non hanno mai vinto nulla.

Questa volta, però, gli ‘eterni favoriti’ del Portogallo non possono sbagliare, a casa loro, di fronte allo loro gente.

Se proprio si deve cadere, si cadrà da eroi greci

Il grido di battaglia di Rehhagel. Il Portogallo, sospinto da un Da Luz vestito a festa, parte chiaramente forte ma col passare dei minuti il narcotizzante della Grecia inizia a fare effetto.

Il primo tempo finisce 0-0, ma negli spogliatoi i ragazzi di Rehhagel hanno letto il copione.
Sanno già come andrà a finire.
Al minuto 57 tutti assistono a un film visto e rivisto, ma che non stanca mai: calcio d’angolo liftato di Basinas e incornata perentoria di Charisteas: 1-0 Grecia.

Anzi, 0-1, il Portogallo padrone di casa sta perdendo la finale dell’Europeo contro la Grecia. A dire il vero non la sta perdendo, l’ha già persa.

Gol Charisteas
Foto dal web

 

Gli ultimi assalti del Portogallo sono quasi frustranti, era come se in campo tutti avessero capito che quel finale non poteva essere riscritto.

Al triplice fischio piangono tutti: piange un adolescente Cristiano Ronaldo che ha perso ma che in carriera vincerà tutto, piange un’intera nazione che ha vinto ma che rimarrà abituata a perdere.

L’unica cosa che so è che se torno in Grecia in questo momento c’è spazio solo per una parola: festa. Il resto non m’interessa, sono chiacchiere inutili“, commenta un commosso ‘Re Otto’.

Adesso può testimoniare che non è vero che i miracoli accadono una volta sola nella vita. E’ lui stesso la testimonianza che gli eroi greci sono esistiti davvero e sapevano giocare a calcio, non un calcio divino ma “onesto” , come lo chiamava lui.

Per Rehhagel, che non aveva mai allenato una nazionale e al primo colpo ha vinto un Europeo, si aprono addirittura le porte della sua Germania che lo vuole come ct in vista dei Mondiali casalinghi del 2006. Un’offerta irrinunciabile, talmente irrinunciabile che Rehhagel la rifiuta. Resta alla Grecia, che a quei Mondiali nemmeno si qualificherà.
Poco male, si rifarà nel 2010, portando la Grecia a giocare per la prima volta una fase finale Coppa del Mondo dal 1994.

L’ennesima impresa, l’ultima prima dell’addio. Rehhagel è stato l’uomo che ha rilanciato il concetto di squadra nel calcio moderno. Perché tra venti, trent’anni, forse nessuno si ricorderà più di Nikopolidis, Seitaridis, Kapsis, Dellas, Fyssas, Basinas, Katsouranis, Karagounis, Vryzas, Giannakopoulos e Charisteas, ma tutti si ricorderanno ancora della Grecia del 2004.

 

 
 
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