Jugoslavia dunque esclusa dall’Europeo, alla quale si era qualificata con i risultati ottenuti in campo durante le qualificazioni, e al suo posto viene ripescata la Danimarca, a 10 giorni dall’inizio della competizione continentale.
E invece no, perchè contro la Francia di Blanc, Papin e Cantona avviene qualcosa di inaspettato: i danesi ottengono la prima vittoria nel loro girone, un 2-1 che li fa qualificare come secondi del Gruppo A.
Nell’altro girone, come da previsione, a qualificarsi sono stati i tedeschi, sempre ostici in qualsiasi competizione, e l’Olanda, favoritissima per la vittoria finale dell’Europeo: e la semifinale vedrà contrapposti proprio i tulipani ai vacanzieri danesi.
Mentre nel ritiro orange l’attenzione è tutta rivolta verso il match che da lì a poco li attenderà, nel ritiro danese il clima è di tutt’altro genere.
“Ma te che fai appena usciamo da quest’Europeo Brian? Raggiungi tuo fratello a Riccione?” – chiese Schmeichel all’unico Laudrup presente a quella competizione.
“Macchè Peter, ho già prenotato l’aereo per Amsterdam, l’altra sera ho abbordato una tifosa olandese e mi ha promesso fuoco e fiamme! E poi lì puoi fumare il cazzo che ti pare senza che nessuno ti dica niente.” – rispose Brian.
O almeno, questo era il clima prima che si venisse a sapere della straziante storia di un protagonista silenzioso di quella Danimarca: Kim Vilfort, onesto mediano del Brondby, stava vivendo un trauma personale indicibile.
La figlia Line, di appena 8 anni, è ammalata di cancro, e l’instancabile Vilfort dopo ogni partita torna subito a casa, grazie anche alla vicinanza dei due paesi scandinavi.
L’Olanda, almeno sulla carta, sembra comunque essere troppo forte, quasi imbattibile. Ma il Dio del Calcio ha in mente qualcosa di grande per quella Danimarca, ed in particolare per Kim Vilfort.
Dopo un 2-2 combattutissimo, la sfida si decide ai rigori: Schmeichel para il rigore decisivo a Van Basten.
E’ FINALE! La Danimarca, che nemmeno doveva esserci in questa competizione, è in finale!

A questo punto i danesi cominciano a credere che qualcosa più grande di loro stia per compiersi, anche se leggendo i nomi dell’altra finalista, cioè la Germania che in semifinale ha eliminato la Svezia padrone di casa, si capisce subito che si tratta di un’impresa titanica, quasi un remake di Davide contro Golia.
Brehme, Sammer, Hässler, Klinsmann. E come li batti questi?
Probabilmente in condizioni normali non li batteresti mai. Ma quell’Europeo lì, di normale non ha nulla.
Inizia con un ripescaggio e finisce con un episodio che definire “incredibile” è un eufemismo.
Perchè quando ci si mette di mezzo il destino, niente è impossibile.
Dopo nemmeno 20 minuti, è la Danimarca che passa in vantaggio con un bolide dal limite dell’area di John Jensen che si insacca alle spalle di Bodo Illgner.
Da lì in poi sarà la Germania a condurre la partita, provando in tutti i modi a battere il biondo portiere danese, che però abbassa la saracinesca e para pure l’aria.
Stremati dai continui attacchi andati a vuoto, la retroguardia tedesca si fa sorprendere intorno al 78° minuto: un innocuo colpo di testa poco dopo il centrocampo si trasforma in un assist per il n°18 danese, che con un movimento da grande attaccante prima finta il tiro di destro, disorientando il difensore, e poi calcia di sinistro, con la palla che si deposita in rete dopo aver accarezzato il palo alla sinistra di Illgner.
Quel numero 18 è proprio lui, Kim Vilfort, che non appena ha siglato il 2-0 viene sommerso dall’abbraccio di tutti i compagni, nessuno escluso. É un tripudio!
La Germania viene completamente annientata da quel gol, e la partita si trascina fino al triplice fischio dell’arbitro.
La Danimarca è Campione d’Europa!

Nessuno avrebbe scommesso un centesimo su questi ragazzi, che richiamati in fretta e furia dalle ferie estive hanno scritto una delle più belle pagine di sempre di questo sport.
Sembra una favola, e in quanto tale ci si aspetta il lieto fine.
Ma la vita non è una favola, e dopo averti dato il dolce non perde tempo a consegnarti subito l’amaro: dopo l’Europeo, Vilfort torna dalla propria figlioletta giusto in tempo per raccontarle l’incredibile storia che lo ha visto protagonista, prima che la piccola si arrenda alla maledetta malattia.
Ma Line non dimenticherà mai il suo papà-eroe che dopo ogni partita tornava da lei anche solo per rimboccarle le coperte prima di andare a dormire.
Jugoslavia: la nazionale perduta
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