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Ci sono alcune storie nel passato delle corse automobilistiche che sembrano opere di pura finzione o mito, forse a causa del trascorrere del tempo e degli sviluppi nello sport. Racconti di Tazio Nuvolari che sfreccia lungo le strade italiane a oltre 300 km all’ora mentre tossisce sangue avvicinandosi alla morte, ma riesce comunque a vincere la Mille Miglia, potrebbero facilmente essere opera di un autore con un’immaginazione straordinaria.

Come la storia che stiamo per raccontarvi, quella di come Duncan Hamilton e Tony Rolt che hanno vinto le 24 Ore di Le Mans del 1953: i dettagli del dramma che circonda la vittoria sono stati smentiti poi da Rolt e da molti altri, ma finzione o presunta tale, si tratta di un qualcosa di straordinariamente divertente e che, nell’era moderna, sarebbe impossibile replicare per svariati motivi.

Duncan Hamilton ha vissuto una vita straordinaria e sosteneva che lo “stato” in cui si trovavano lui e Tony Rolt non fosse altro che la verità. L’irlandese era noto per essere piuttosto vivace a volte, ma anche per essere piuttosto “liberale” nel raccontare la verità e che spesso esagerasse i racconti delle sue imprese mentre era al comando delle auto da corsa e dei Lysander che pilotava durante la Seconda Guerra Mondiale. Non era estraneo né alla velocità né al pericolo; una qualità che piaceva alla Jaguar nei loro piloti da corsa.

Così nel 1953 Sir Lofty England, il direttore sportivo dal famoso marchio automobilistico Jaguar, notò un inglese barbuto di nome Duncan Hamilton, pilota di Formula 1, e lo contattò per farlo partecipare alla mitica 24 Ore di Le Mans alla guida di un’auto da 205 cavalli chiamata C-Type.

Nel corso delle prove di qualifica, le vetture della Jaguar presero subito il comando, con tutte e tre le automobili che superarono il pregresso record di giro. Ma a mezzanotte, un evento inaspettato sorprese l’equipaggio Hamilton-Rolt: la loro macchina aveva lo stesso numero di un’altra C-Type, ciò spinse i giudici, influenzati dal Team Ferrari, ad escludere i due piloti dalla gara.

Duncan Hamilton
© lemans.org

Profondamente scossi dalla notizia, gli stessi Duncan e Rolt si misero in cammino verso il centro-città per annegare la loro delusione in un fiume di alcool. Ciò che ignoravano completamente era che Sir William Lyon, l’eminenza grigia della casata automobilistica di Coventry, insieme al D.S. England, avevano segretamente concluso un accordo con l’A.C.O. (Automobile Club de l’Ouest, creatore ed organizzatore della 24 Ore di Le Mans, ndr). che comportava un contributo finanziario quale condizione per il rientro in gara delle vetture precedentemente squalificate.

England passò così le seguenti ore alla ricerca del duo e li trovò per pura casualità in un bar alle dieci del mattino il giorno successivo. Proprio nel giorno cruciale dell’inizio della competizione!

“Ci trovò con i capelli in disordine e la barba incolta“, confermò lo stesso Duncan qualche anno dopo. Essendo un racconto risalente ad oltre 60 anni fa è facile che la realtà si mischiasse con la fantasia, con la leggenda, ma a quanto pare, nonostante l’ebrezza del duo il D.S. inglese lo riuscì a rimettere letteralmente in pista, sul Circuito de la Sarthe per farli partire in gara.

Duncan, il pilota britannico, fu incaricato del primo turno alla guida della Jaguar C-Type. Ma a causa dei postumi di una “serata movimentata”, decise di farsi rifornire anche di caffè dai meccanici durante ogni pit stop, nella speranza che i sintomi di ubriachezza si attenuassero rapidamente.

Dopo vari pit-stop, Hamilton incontrò ulteriori ostacoli. Le sue mani trepidavano a causa dell’ampio consumo di caffeina, rendendo difficile per lui mantenere l’auto in pista. Il team, sul muretto dei box, si trovò ad affrontare il compito di aiutarlo e, alla fine, trovò una soluzione efficace: offrire ad Hamilton un bicchiere di brandy per mitigare i suoi spasmi.

Duncan e Tony, con una straordinaria determinazione, si catapultarono verso il trionfo nella celebre competizione di endurance globale, demolendo nel contempo il precedente primato di chilometri percorsi in sole 24 Ore. Ineffabilmente, nessun altro prima di loro era stato in grado di oltrepassare la barriera dei 4000 chilometri. Spettacolarmente, l’equipaggio numero 18 varcò persino la soglia dei 4094 chilometri, fissando una media di velocità pari a 170,3 km/h.

In seguito, England negò categoricamente di aver concesso loro la possibilità di correre in stato di ebbrezza, dato che già affrontava una serie di difficoltà con loro anche quando non erano ubriachi.

“Non li avrei mai fatti correre da ubriachi avevo già abbastanza problemi con loro quando erano sobri!”

Queste le esatte parole pronunciate dal dirigente, ed è naturalmente difficile metterle in discussione, trattandosi appunto di un accaduto di oltre 60 anni fa. Tuttavia, risulta altrettanto incredibile che i due piloti, disfatti dalla notizia della loro squalifica, abbiano passato l’intera notte in un bar transalpino, sorseggiando delle semplici bibite gassate. Di conseguenza, abbiamo optato per una narrazione di questa storia con le necessarie avvertenze sulla sua discutibile veridicità. Nonostante tutto, nel profondo di noi, tutti preferiamo pensare che la Le Mans del 1953 sia stata conquistata da due audaci piloti che si sono risvegliati con i postumi di “una notte da leoni”.

 
 
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