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Una domenica mattina qualsiasi, sveglia presto e si va su qualche campo della vicina periferia per una partita di calcio, e già li, se ce n’era l’occasione, mio Padre ne tracannava uno per resistere al gelo del primo mattino. Il pomeriggio però, poteva capitare che la squadra della mia cittadina giocasse in casa per mantenere un posto nell’allora Serie C, e allora si andava allo Stadio e dopo pochi minuti il primo grido era “Caffé Borghettiiiii!!!“. Questi sono i primi ricordi che ho se penso al Caffè Borghetti: mio padre che riscalda l’anima dietro ad un pallone.

È molto probabile, anzi diciamo quasi certo, che qualsiasi marchigiano nato nella provincia di Ancona sia venuto alla luce in una casa dove, messa in una qualche dispensa della cucina, c’era già una bottiglia di Caffè Borghetti. “Avrai sempre Borghetti e Varnelli nella tua casa!”, dicevano e dicono le persone di quelle parti.

Il Caffè Borghetti è nato nel 1860 ad Ancona, un anno più vecchio del Regno d’Italia, e a diffonderlo fu Ugo Borghetti, imprenditore anconetano titolare di un bar davanti alla stazione ferroviaria: il Caffè Sport. Da molti anni è nella famiglia degli alcolici dei Fratelli Branca.

Sono secoli che chi lavora in mare si scalda con caffè appesantiti da miscele di rum e anice in quantità variabile, aromatizzati da una scorzetta di limone e zuccherati in maniera prepotente.

Nonostante ciò, l’usanza di bere caffè arricchiti con alcolici o altri ingredienti è stata presente da molto tempo nella regione e non è certo stata ideata dal signor Ugo. Infatti, da secoli i marinai si scaldano con caffè addizionato con miscele di rum, anice, scorza di limone e tanto zucchero. Alcuni esempi di queste bevande sono la moretta a Fano, il turchetto a Senigallia-Ancona e il caffè del marinaio a San Benedetto del Tronto. In pratica, se si vuole sapere dove è nata questa tendenza che ha influenzato la produzione industriale, l’unica risposta plausibile è: in tutte le osterie davanti ai porti lungo la costa marchigiana e forse anche a bordo delle barche.

Non è stato fino alla seconda metà dell’Ottocento che le prime distillerie industriali hanno cominciato ad apparire nella regione, diffondendo questa pratica anche tra la popolazione nelle loro case.

Il primo produttore di un liquore al caffè

Il primo a produrre un liquore al caffè ad Ancona fu però Manfrini, titolare di un bar che poi mise su una distilleria. Il suo bar oggi esiste ancora e si chiama Caffè Centrale a Torrette di Ancona, e l’ultimo discendente di questa famiglia, Roberto Manfrini, porta avanti la tradizione di famiglia, servire da dietro ad un bancone.

Prima ancora di Varnelli e Borghetti fu lui a produrre un liquore al caffè “in serie”: “La ditta del mio bisnonno faceva il Cordial Caffè Manfrini. Aveva tre distillerie, la prima ad Ancona, ma dopo qualche anno ne aveva aperte altre due in Libia. C’era il mio prozio Romeo Manfrini laggiù. Sono state operative fino alla seconda guerra mondiale e poi seguirono la sorte del colonialismo italiano. Ricordo che trent’anni fa, parlando con una zia allora novantenne, venne fuori che Ugo Borghetti aveva collaborato con noi prima della nascita del suo prodotto. Mia zia mi disse che ci fu anche una causa legale sulla paternità del prodotto, diceva che fossimo stati noi i primi a farlo e che lui si appropriò della ricetta… ma che ti devo dire, noi non siamo più in attività da ottant’anni e non c’è nulla di scritto. Sono storie vecchie, storie di vecchi, chissà quanti anconetani ad aver bevuto il Cordial Caffè sono ancora vivi. Non credo ne siano rimasti molti.”

Borghetti e Stadio

In un intervista a Vice, Eros Giardini, presidente dei C.U.B.A. (Clubs Uniti Biancorossi Ancona), un tifoso che prende molto sul serio il calcio, che è presente in tutte le trasferte e che da quasi cinquant’anni beve un Borghetti ogni domenica, come da tradizione. Almeno uno. “Guarda, non sono sicuro che sia una roba normale, ma la prima volta che mio padre m’ha portato allo stadio era il ’55, avevo tre anni. Cusa vò che te dico? Ancora prima di arrivare allo stadio Il liquore era già parecchio diffuso in città, lo bevevano tutti, specie dopo pranzo. Poi si sa, l’anconetano non si alza mai volentieri da tavola, figuriamoci di domenica. Mettici che le partite iniziavano alle 14.30, toccava magnà de fuga e correre subito allo stadio, mi pare normale che se portavamo il borghetti da casa all’inizio, ringrazia che non ce portavamo pure verdicchio e stoccafisso… Era un piacere, sembrava di prendere il caffè dopo pranzo e piaceva davvero a tutti, così un po’ alla volta il bar della gradinata ha fiutato la cosa e si è organizzato; in poco tempo i “bibitari” tenevano nei cesti i borghettini, era il prodotto che finivano prima. Tutto questo è successo prima che io iniziassi ad andare allo stadio, è dal ’55 che lo vedo vendere sul posto.”

Nella stessa intervista, rilasciata a Vice, racconta della città e di come lo stadio abbia avuto dei cambiamenti nel corso del tempo, parla degli alti e bassi della sua squadra e delle varie categorie in cui ha giocato, racconta poi dei grandi palcoscenici in cui ha giocato la sua squadra, ma anche dei piccoli stadi in provincia sparsi per lo stivale.

Alla domanda, se in ognuno di questi stadi ha sempre incontrato un Borghetti, risponde: “Intanto diciamo che c’è sempre qualcuno di noi che se lo porta dietro. Ti dirò de più, fino a un paio di anni fa ci seguiva in tutte le trasferte pure un signore di Roma, faceva il borghettaro (ambulante abusivo che vende Borghetti negli stadi, figura mitologica diffusa fino a qualche tempo fa in ogni stadio italiano, ndr). In pratica questo signore ogni domenica guardava dove giocava l’Ancona, montava in macchina, e cascasse il mondo ce lo trovavamo fuori dai bus a vendere Borghettini nel piazzale dello stadio dove giocavamo, ce potevi mette la mano sul fuoco.”

Eros continua: “Comunque i Borghettini li vendevano quasi sempre anche allo stadio, nel Sud è molto diffuso, in Puglia, Calabria e Campania si trova praticamente ovunque, dagli stadi delle città più grandi – Bari, Foggia, Cosenza, Napoli – a quelli delle città più piccole. Tutto il centro Italia è ben coperto e a Roma è decisamente diventato un pilastro del tifo. L’unica zona d’Italia dove non l’ho mai visto diffondersi in modo capillare è il Nord Est; là avevano i loro riti, tra primo e secondo tempo il tifo organizzato del posto offriva agli ospiti il vin brulè in inverno, che roba bella, era un po’ come il terzo tempo del rugby… però quando iniziava la ripresa finiva che eravamo tutti mezzi nbriaghi…”.

In un’altra intervista fatta sempre da Vice a Roberto Cipriani, altro membro dei C.U.B.A., gli viene chiesto di raccontare una storia in particolare, la finale playoff 2000 tra Ascoli e Siena: “La partita dei playoff contro l’Ascoli? Il Borghetti? Non me ce fà pensà… è stata una partita incredibile e con un gol al centodiciottesimo minuto siamo andati in serie B. Però mamma mia, ancora mi tremano le gambe se ce penso. Dopo il gol la gente è impazzita, era giugno ed eravamo tutti sudati fradici, di fianco c’avevo un anconetano enorme, sarà pesato duecento chili… niente, quello dopo il gol si gira, mi dà un abbraccio che per poco non me mazza e poi mi bacia in bocca… un’alitata di Borghetti evastante, roba che svengo, ancora me viè i brividi se ce penso…”.

In entrambe queste interviste il filo conduttore è uno solo: come gli autobus delle trasferte iniziassero ad avere il sapore di caffè sin dalla partenza, e di come i cori e gli striscioni si mischiassero a questo grazie alle dediche al caffè sport.

Da tutte queste informazioni e testimonianze sembra che sia impossibile ottenere un quadro ordinato e forse è proprio questo che si cela dietro ad un bicchiere di Borghetti, troppe cose per poterle mettere insieme ordinatamente. Un brivido di freddo in uno stadio della provincia italiana, una sigaretta all’autogrill, qualche bestemmia volante ad un tavolino di un bar di provincia dove giovani e meno giovani giocano a carte e le barche in mare aperto per portare il “pane a casa”, dietro una bevanda più vecchia della nostra azione c’è tutto questo.

Fonte: vice.com

 
 

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